Solidarietà e parziarietà delle obbligazioni in condominio
Obbligazioni solidali e parziarie. Concetti generali e differenze.
Il nostro sistema codicistico annovera tra le specie tipiche di obbligazioni quelle solidali e quelle parziarie o divisibili.
L’obbligazione è in solido quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione in modo che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri (c.d. solidarietà passiva); oppure quando tra più creditori ciascuno ha diritto di richiedere l’adempimento dell’intera obbligazione e l’adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore verso tutti i creditori (c.d. solidarietà attiva).
Al fine di configurare un’obbligazione solidale non è sufficiente una pluralità di soggetti dal lato attivo o da quello passivo ma è indispensabile un elemento oggettivo, cioè la possibilità di rivolgersi per l’intero a ciascun debitore, in caso di solidarietà passiva, da parte di ciascun creditore, in caso di solidarietà attiva. La prestazione, poi, deve essere la stessa e diretta al soddisfacimento dell’identico interesse del o dei creditori (Gazzoni, 2013, 613 e s.s.).
L’obbligazione è divisibile o parziaria quando ciascun creditore non può domandare il soddisfacimento del credito che per la sua parte e ciascuno dei debitori non è tenuto a pagare il debito che per la sua.
I principi in materia di obbligazioni contratte dal condominio.
Applicare i concetti generali in materia di obbligazioni alla specifica disciplina del condominio significa interrogarsi sulla responsabilità dei singoli facenti parte della compagine condominiale per le obbligazioni contratte dal condominio nei confronti dei terzi, tenendo a mente che ai sensi degli artt. 1118 e 1123 c.c. i diritti e le obbligazioni di ciascun proprietario sono proporzionali al valore, espresso in millesimi, dell’unità immobiliare che gli appartiene.
Conseguentemente, la giurisprudenza si è vista costretta a rispondere all’annoso quesito volto a determinare se i singoli condomini rispondono dei debiti contratti dal condominio in via parziaria, quindi limitatamente alla propria quota di proprietà, o solidalmente, a prescindere da essa.
La giurisprudenza, per oltre mezzo secolo, ha fornito interpretazioni contrastanti sino a propendere, prima dell’avvento delle Sezioni Unite nell’anno 2008, per la natura solidale del vincolo tra i condomini nei confronti dei terzi creditori.
Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 9148/2008, ponendo fine ai contrasti, si esprimevano in favore della parzietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli condomini soltanto in proporzione alle rispettive quote. Il ragionamento seguito dai Giudici della Consulta di basava essenzialmente su due constatazioni, (a) l’assenza di una normativa che contempla la solidarietà nel condominio e (b) la sussistenza di un’obbligazione comune ma naturalisticamente divisibile.
La situazione rimane tale sino al 2012 quando, con la riforma apportata dalla L. 120/2012, viene modificato l’art. 63 disp. att. c.c. il quale oggi prevede che “I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini.”.
Risvolti pratici.
Sulla base della nuova formulazione dell’art. 63 disp. att. c.c. l’escussione del patrimonio del condomino non moroso diventa sussidiaria, eventuale e successiva a quella del patrimonio del condomino moroso.
Il creditore del condominio, ottenuto e notificato il titolo all’Ente, dovrà richiedere all’amministratore i dati necessari per procedere ai sensi dell’articolo 63 disp. att. c.c., e, in caso di inerzia, potrà e dovrà procedere giudizialmente per ottenerli. Solamente dopo, infatti, il creditore sarà in grado di assolvere l’onere di notifica del titolo e del precetto ai condomini morosi e procedere esecutivamente nei confronti di questi ultimi.
Ma non è tutto. Solo dall’esito infruttuoso dell’escussione discende il diritto del creditore di agire contro i condomini in regola con i pagamenti.
In un caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di Roma, in fase di opposizione a precetto ex art. 615, comma 1, c.p.c. proposta da un condominio contro il creditore del condominio, è stato rimarcato che incombe sul creditore l’onere di provare di aver agito preventivamente ed infruttuosamente nei confronti dei condomini morosi. Ai fini dell’onere della prova non è sufficiente la dimostrazione di un “mero” tentativo, ma è necessario dimostrare di aver provato con ragionevole sforzo e di aver rispettato l’ordine di escussione per come esso emerge dallo stato di ripartizione.
Nella medesima sentenza, il Tribunale di Roma riconosce la validità del precetto con il quale si richiede al singolo un pagamento maggiore rispetto a quello dovuto, fatta salva l’opposizione del singolo ex art. 615 c.p.c. o allegando di non essere condomino o eccependo di essere condomino ma di possedere una quota millesimale inferiore a quella allegata, in maniera implicita o esplicita, dal creditore – essendo l’obbligazione contrattuale del condominio gravante pro parte sui singoli condomini e non in solido per l’intero sugli stessi. Nel primo caso l’onere della prova spetterà al creditore, nel secondo caso spetterà all’opponente[1].
Il “caso” del conto corrente condominiale
Il principio del c.d. beneficium excussionis di cui all’art. 63 disp. att. c.c. non preclude la possibilità per il creditore di soddisfare il suo diritto pignorando direttamente il conto corrente condominiale, almeno sulla base della tesi accolta dal Tribunale di Milano.
L’ammissibilità è correlata al riconoscimento di una soggettività giuridica al condominio, distinta da quella dei singoli, almeno per quanto riguarda la gestione del denaro comune; in tale ipotesi, quindi, il condominio è ritenuto autonomo centro di imputazione di posizioni giuridiche.
In quest’ottica le somme versate sul conto non appartengono più ai singoli condomini ma al condominio, unitariamente inteso quale Ente di gestione, e formano oggetto di un vincolo di destinazione che dà vita a un “patrimonio condominiale” aggredibile dai creditori del condominio.
In questo senso, secondo i Giudice di merito, dalle norme novellate dalla Legge di Riforma “si rinviene una serie di indici dell’esistenza di un patrimonio del condominio stesso […]: il settimo comma dell’art. 1129 cod. civ. impone all’amministratore l’obbligo di far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condòmini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; l’undicesimo comma del predetto articolo stigmatizza la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri condòmini”. Ed ancora, “ […] tutti i contributi versati dai partecipanti si confondono con le altre somme sia ivi esistenti andando perciò ad integrare quel saldo che è ad immediata disposizione del correntista condominio, secondo l’art. 1852 cod. civ., senza che mantenga alcun rilievo lo specifico titolo dell’annotazione a credito, né la provenienza della provvista dall’uno o dall’altro condomino” con la conseguenza che “[…] là dove il creditore agisca per il recupero dell’intero credito in forza del contratto che lo lega al condominio (e non nei confronti dei singoli condomini tenuti alla contribuzione) non può trovare applicazione il disposto dell’art. 63 disp. att. c.c. perché lo stesso, pignorando il conto corrente condominiale, non “agisce nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti”, ma aggredisce “il patrimonio del condominio””[2].
Avv. Valentina Bonfiglio
[1] Tribunale di Roma, sentenza n. 3720/2020 del 14/02/2020
[2] Tribunale di Milano, sentenza n. 11878/2017 del 21/11/2017