Opposizione a decreto ingiuntivo per il recupero di oneri condominiali: quando il Giudice può sindacare la validità della delibera alla luce della sentenza n. 9839/2021
Con una recente pronuncia di Aprile, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite è intervenuta a risolvere alcune questioni di rilevante importanza per la certezza dei rapporti giuridici nel Condominio, sin ora decise in maniera difforme dalle Sezioni semplici.
Con la sentenza n. 9839/2021, infatti, la Corte, è stata chiamata a decidere sul ricorso presentato da un condomino che si era opposto ad un decreto ingiuntivo promosso dal condominio nei suoi confronti per il pagamento delle spese sostenute per lavori di rifacimento e impermeabilizzazione del lastrico solare dell’edificio, poste a suo carico in base a precedenti deliberazioni assembleari.
In particolare, in primo grado il condomino aveva dedotto la nullità delle delibere assembleari invocate e la violazione dei criteri legali di riparto delle spese condominiali. Sia il Tribunale di prime cure che la Corte d’Appello avevano rigettato l’opposizione, rilevando che il condomino non aveva impugnato la delibera con cui era stato disposto il riparto delle spese a suo carico, per cui la deduzione di invalidità della stessa gli era preclusa nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Tale interpretazione dei Giudicanti era suffragata da numerose pronunce sia di merito che di legittimità, ed infatti gli stessi Ermellini si erano espressi in tal senso più volte, ritenendo che il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo debba limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia della delibera, senza poterne sindacare la validità, neppure in via incidentale, trattandosi di valutazione riservata al giudice dinanzi al quale la delibera viene impugnata.
Non più tardi del 15 febbraio, la stessa Corte con l’ordinanza n. 3847/21 aveva ribadito che “Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti” poiché “la delibera condominiale di approvazione della spesa costituisce, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere“.
Il ricorrente, invece, lamentava principalmente proprio esser stata negata efficacia alla propria eccezione di nullità della delibera assembleare nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Con la pronuncia in esame, la Cassazione ha avuto modo di risolvere i contrasti interpretativi sul punto, ma ha anche avuto modo di specificare alcuni fondamentali principi già espressi sin dalla famosa sentenza n. 4806/2005 con la quale aveva affrontato il tema della distinzione tra delibere nulle ed annullabili, rendendo ancora più chiari i confini di tale distinzione ed i suoi effetti.
Le Sezioni Unite, infatti, hanno espresso il seguente principio: “Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità, dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio, della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia dedotta in via di azione- mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione in opposizione – ai sensi dell’art. 1137, secondo comma, cod. civ., nel termine perentorio ivi previsto e non in via di eccezione.”.
Con l’occasione, in merito alla distinzione tra le cause di nullità ed annullabilità delle delibere, la Corte, ha rimarcato l’orientamento del Legislatore il quale, anche con la riforma del 2012, ha inteso garantire la “certezza dei rapporti giuridici di una entità così complessa come il condominio“.
L’art. 1137 c.c. del resto è palese nel ricondurre ogni forma d’invalidità delle delibere assembleari alla figura dell’annullabilità, non essendo invece prevista alcuna fattispecie di nullità. Secondo i Giudici, tuttavia, la categoria della nullità non è completamente soppressa dalla materia, ma il legislatore ha indicato l’annullabilità come regola generale, riservando alla nullità un ruolo residuale e di mera eccezione.
Sulla base di queste argomentazioni la Suprema Corte ha dunque enunciato un ulteriore principio di diritto, chiarendo che “sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, le deliberazioni dell’assemblea dei condomini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico – dando luogo, in questo secondo caso, ad un “difetto assoluto di attribuzioni” – e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a “norme imperative” o all”ordine pubblico” o al “buon costume“. Secondo le Sezioni Unite quindi “al di fuori di queste ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale sono semplicemente annullabili e l’azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nei termini di cui all’art. 1137 cod. civ.”;
Il riflesso di questi principi sulle azioni di recupero delle morosità condominiali è di enorme portata, considerato che, grazie a questa sentenza, al condomino moroso verrà meno la possibilità di dedurre eccezioni dilatorie, ed anche i giudici dovranno attenersi a quanto stabilito dalla Corte, in considerazione della funzione nomofilattica della stessa.
Avv. Fabio Difrancesco