Le ragioni alla base dell’elevato tasso di conflittualità che pervade il contesto condominiale sono disparate. Sotto un profilo, per così dire, sociologico vi è l’ancestrale difficoltà da parte dell’homo in condominio ad acquisire consapevolezza del senso di appartenenza, di societas, che dovrebbe naturalmente sottendere alla vita in comunità. Specie in grandi contesti urbani, il condominio viene percepito come aliquid alienum, un corpo estraneo alla vita di singoli proprietari. Le assemblee condominiali vengono spesso avvertite come un fastidio, o come una fonte per sfogare sopite frustrazioni, anziché l’ideale consesso per trovare soluzioni condivise nell’interesse comune. Sotto un profilo normativo, il legislatore nel 2012 ha perso l’occasione di operare una vera riforma del condominio, limitandosi ad un’operazione di maquillage del vecchio impianto codicistico ed al recepimento di taluni arresti giurisprudenziali. La logica proprietaria che imprime tutto l’impianto del codice civile permea di sé tutta la normativa condominiale: il condominio, anche a seguito della riforma, continua da taluni ad essere considerato un mero “ente di gestione” sfornito di personalità giuridica e l’amministratore è equiparato ad un mandatario che deve limitarsi ad eseguire le delibere dell’assemblea con l’obbligo di rendicontare l’attività svolta. Nemmeno la qualificazione più puntuale delle attribuzioni dell’amministratore operata dalla novella legislativa ovvero il tentativo di elevare la professionalità dell’organo gestorio – con la previsione della formazione obbligatoria e con la tipizzazione di alcune “gravi irregolarità” che importano la revoca dell’amministratore – valgono a superare l’impostazione tradizionale. Anzi, in talune norme, che prevedono la legittimazione anche individuale del singolo condomino a poter domandare la revoca dell’amministratore, ed in altre disposizioni che hanno conservato la facoltà di impugnare le delibere assembleari anche per meri vizi formali, si trova agevole spiegazione nell’elevazione del contenzioso condominiale a numeri che, ad oggi, rappresentano circa il 40% di tutto il contenzioso civile. Né un contributo a deflazionare il contenzioso è promanato da quelle previsioni che hanno reso obbligatorio l’esperimento della mediazione, procedimento che, stante la sua farraginosità (sono necessari ben due passaggi assembleari, uno per deliberare sull’adesione al procedimento ed un altro per approvare l’eventuale proposta conciliativa) ha scarso esito di successo, ed, anzi, in molti casi finisce per aumentare sia i tempi della risoluzione della controversia sia i costi per tutta la compagine condominiale.
In un simile contesto, occorre interrogarsi se talune soluzioni possano rinvenirsi già sul piano del diritto positivo. La questione è nota alla più attenta dottrina che da tempo si interroga sul ruolo da attribuire alla figura del condominio. Per superare la logica tradizionale, occorre muovere dalla considerazione che oggi il condominio non è solamente una tipologia di comunione, ma costituisce il centro di imputazione di interessi che, spesso, superano quelli dei singoli proprietari. Pur con tutte le limitazioni, sopra evidenziate, dell’impianto normativo attuale, è già in esso che possono trovarsi barlumi di novità che sembrano protesi al superamento dell’impostazione originaria. Si pensi all’art. 1117 ter c.c., il quale riconosce l’esistenza di un “interesse condominiale” che consenta di procedere alla modifica delle destinazioni d’uso di parti comuni; o, ancora, all’art. 1129, comma 7, c.c. che obbliga l’amministratore ad utilizzare un conto corrente “intestato al condominio”; si consideri, in maniera ancor più dirompente, l’art. 67 disp. att. c.c., che, in tema di supercondominio, obbliga singoli condominii a nominare un proprio rappresentante. Orbene, muovendo da tale ultima disposizione, se il “condominio” ha il potere di nominare un proprio rappresentante, si riconosce implicitamente allo stesso una soggettività giuridica del tutto nuova, un potere cui corrispondono interessi affatto peculiari che possono anche non coincidere con quelli dei singoli condomini. In linea con questo filone di pensiero si collocano alcune pronunce del giudice di legittimità, ove il condominio è stato riconosciuto quale autonomo “centro di imputazione di interessi, di diritti e di doveri” (Cass. 19663/14); da ultimo si è anche ammessa la possibilità da parte dei creditori del condominio di pignorare le quote che i singoli partecipanti debbono versare sulla base dei rendiconti approvati, così riconoscendo la “terzietà” dei condomini rispetto al condominio (Cass. 12715/19). È vero, di contro, che la stessa Corte di Cassazione, con pronuncia a Sezioni Unite, ha ribadito che de iure condito il Condominio non può essere considerato un ente dotato di personalità giuridica (Cass. Sez. Un. 10934/2019), ma tale revirement può essere letto in chiave propulsiva, come invito al legislatore a compiere un decisivo passo in avanti e superare le antiche logiche di sistema che, come visto, hanno alimentato conflittualità anziché semplificare la materia condominiale. È del tutto evidente che, in una prospettiva de iure condendo, riconoscere personalità giuridica al condominio consentirebbe di risolvere un’ampia congerie di ipotesi conflittuali, dotando l’amministratore di poteri di intervento più incisivi a tutela del superiore interesse di cui il condominio sarebbe autonomo titolare. È evidente che un siffatto mutamento di prospettiva dovrà essere accompagnato da una maggiore professionalizzazione della figura dell’amministratore eliminando tutte le previsioni che esonerano taluni soggetti dalla formazione obbligatoria e continua, ed implementando gli strumenti di lavoro e l’organizzazione dell’ufficio, anche con l’ausilio di supporti telematici. Il “nuovo” amministratore, alla stregua di un manager, dovrà avere le più elevate conoscenze ed un organizzazione tali da consentirgli la miglior tutela dell’ “azienda condominio” a lui affidata, e dovrà acquisire in coerenza con ciò, la definitiva, necessaria, centralità che oggi stenta ad essergli riconosciuta.
Avv. Daniele De Bonis
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